Uno dei maggiori quesiti durante la pandemia di coronavirus riguarda spesso l’associazione tra condizioni ambientali e diffusione del virus. Soprattutto per quelle zone d’Italia, in particolare il settentrione, in cui il tasso di inquinamento risulta molto alto. A questo interrogativo hanno provato a dare una risposta ricercatori di ENEA e dell’Università di Roma Tor Vergata, attraverso uno studio in merito.
Connessione inattesa tra inquinamento atmosferico e virus
La ricerca ha evidenziato una forte affinità tra il particolato atmosferico (PM2.5) e la proteina Spike del virus SARS-CoV-2 responsabile del covid. I risultati, che descrivono l’interazione tra le polveri sottili e il virus attraverso simulazioni di dinamica molecolare eseguite con il supercalcolatore CRESCO6, sono stati pubblicati sulla rivista online Science of The Total Environment e rientrano nell’ambito del progetto Pulvirus.
Città oggetto di studio nella fase cruciale della pandemia
Lo studio è partito dalla verifica e dimostrazione della presenza del genoma del virus responsabile del Covid-19 su almeno il 50% dei campioni di filtri per il PM2.5 raccolti nella città di Bologna nell’inverno del 2021.
Commenta così Caterina Arcangeli, ricercatrice ENEA del Laboratorio Salute e Ambiente e coautrice dello studio insieme ai colleghi Barbara Benassi, Massimo Santoro e Milena Stracquadanio:”durante la fase iniziale della pandemia la Lombardia e, in generale, tutta l’area della Pianura Padana sono state colpite più duramente dall’infezione virale rispetto al resto del Paese”.
Gruppo di ricerca “Tor Vergata”
Confermano questo dato di partenza i ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma Tor Vergata il prof.Mattia Falconi, la dott.ssa Alice Romeo e il dott.Federico Iacovelli che hanno partecipato allo studio: “L’idea di effettuare questa indagine è nata dalla constatazione che durante le prime fasi della pandemia, nell’area della Pianura Padana nota per i suoi elevati livelli di inquinamento atmosferico, si sono registrati tassi di infezione particolarmente elevati rispetto alle altre regioni italiane. Questo dato ha sollevato l’interesse della comunità scientifica, stimolando l’ipotesi della possibile esistenza di una correlazione tra particolato atmosferico e diffusione del virus”.
“In questo studio – prosegue il prof. Falconi – l’analisi di campioni di filtri PM2.5, raccolti nella città di Bologna durante l’inverno 2021, ha confermato la presenza del genoma del virus SARS-CoV-2 su oltre il 50% dei campioni. A partire da questa dato, utilizzando il supercalcolatore CRESCO6 dell’ENEA, sono state eseguite delle simulazioni dei movimenti molecolari che hanno permesso di studiare l’interazione tra il virus ed una porzione semplificata del PM2.5, che possiede un diametro 2500 volte più grande di quello della particella virale. In particolare, dalle analisi – conclude – è emerso che le catene di zuccheri (glicani) presenti sulla superficie della proteina Spike giocano un ruolo fondamentale nell’aggancio del virus al particolato atmosferico”.
Qunato incide questa interazione nella diffusione del virus?
Un altro interrogativo cui la dott.ssa Arcangeli risponde riguarda l’effetto di questo fenomeno, anche sulla resistenza del virus in presenza dell’inquinamento.
“Sebbene l’affinità tra PM2.5 e SARS-CoV-2 appaia plausibile, la simulazione non permette di valutare se queste interazioni siano sufficientemente stabili per trasportare il virus nell’atmosfera o se il virione mantenga la sua infettività dopo il trasporto. La possibilità che il virus possa essere ‘sequestrato’ dal PM, con conseguente riduzione di infettività e diffusione, o inattivato da questa forte interazione con il particolato non può essere quindi esclusa”, prosegue la ricercatrice ENEA. “La forza delle simulazioni al computer effettuate da questo studio risiede nella capacità di modellare diversi tipi di particolato, variando sia la concentrazione che la composizione chimica degli inquinanti atmosferici. Queste simulazioni possono, dunque, rappresentare uno strumento utile per valutare rapidamente l’eventuale interazione delle polveri sottili con virus, batteri o altri bersagli cellulari rilevanti. “Questa possibilità potrebbe dimostrarsi utile per contrastare o controllare la diffusione di future malattie trasmesse per via aerea in regioni altamente inquinate e fornire informazioni utili per elaborare piani di controllo dell’inquinamento dell’aria”, conclude Arcangeli.